Orfeo torna dagli inferi profondamente trasformato e quindi anche il suo canto è inevitabilmente diverso. Cosa canta ora che ha visto l'altra faccia della vita, che ha gustato con i morti “il loro papavero”?
A lui si fanno risalire gli insegnamenti iniziatici che costituivano il nucleo esoterico e religioso dei misteri orfici e tutto quell'incredibile e meraviglioso sviluppo culturale, filosofico e spirituale (Pitagora ne è uno dei massimi rappresentanti) che va sotto il nome di Orfismo. Non più solo il “bel canto” che placa e addolcisce gli animi, ma un vero e proprio ammaestramento per vivere e morire: “un modo di vivere orfico”, come dicevano gli antichi.
Ovviamente Orfeo è il fondatore mitico, ossia la radice archetipica che sottende tali conquiste dello spirito, ed è superfluo perciò ricordare che non si tratta di un'attribuzione storica, né tantomeno si può parlare di riferimenti temporali e geografici sicuramente rintracciabili e databili. Già Cicerone (“Sulla natura degli dei”) ci ricorda come, anche secondo Aristotele, il poeta Orfeo non è mai esistito, e i Pitagorici riferiscono che gli inni orfici sono stati scritti di volta in volta da autori diversi (Onomacrito, Cecrope...), ma quello che conta è la possibilità, attraverso Orfeo, di riportare sviluppi differenziati a un originario e nascosto nucleo creativo, come a un seme da cui si svilupperà un grande albero dai numerosi rami.
I misteri orfici erano strettamente intrecciati a quelli eleusini e ne condividevano sia la materia (la centralità di Dioniso Zagreo) sia la rigida consegna che obbligava gli iniziati al segreto, non perché fossero contenuti dogmatici soprannaturali, come i misteri cristiani, ma perché costituivano un'esperienza da vivere intensamente e da non disperdere con la comunicazione ai non iniziati. Il mystes (da cui deriva il termine mistico) era tenuto a non parlare di ciò che aveva visto e sentito (anche se tutti quelli che abitavano nella zona dei luoghi di culto sicuramente conoscevano i miti celebrati), pena l'esilio. Pare che Eschilo abbia avuto questa sorte per aver rivelato in una sua opera qualcosa dei misteri eleusini.
Cicerone, nelle “Leggi”, ricorda come gli iniziati che avevano conosciuto le cose divine potevano avere una vita più lieta e morire con una migliore speranza. E Pindaro dice: “Beato colui che, dopo aver visto simili cose, arriva sotto terra: egli sa della fine della vita e del suo inizio dato da Zeus”.
Al centro dei misteri c'è la vicenda di Dioniso Zagreo (che significa "cacciatore di anime"). Figlio di Zeus e di Persefone, Zagreo riceve dal padre il trono del mondo, ma i Titani invidiosi lo traggono in inganno con vari oggetti, tra cui uno specchio (parte del rituale orfico). Nonostante le varie trasformazioni del fanciullo per sfuggire alle intenzioni malvagie dei Titani, questi riescono a catturarlo nel momento in cui assume le sembianze di un toro, lo sbranano e lo divorano crudo. Atena ne salva il cuore e lo porta a Zeus, il quale trangugiandolo e unendosi a Semele genera un nuovo Dioniso, gloriosa risurrezione di Zagreo. Per la loro empietà i Titani vengono inceneriti da Zeus: proprio dalle loro ceneri sorgerà il genere umano, in cui troviamo dunque riuniti i due principi, quello titanico e quello dionisiaco.
Nel suo viaggio agli inferi Orfeo ha dunque visto la passione di Dioniso e tutta una nuova teogonia a partire dal Caos, dalla Notte dalle nere ali e dal suo uovo cosmico, molto diversa da quella del mondo omerico e che diventerà materia di nuovo canto. Apollo è ora la forma attraverso cui si esprime Dioniso: le due facce apparentemente inconciliabili mostrano la loro indissolubile identità, esattamente come giorno e notte, luce e ombra, sono due facce della stessa realtà.
Un'idea della suggestione e della bellezza di tali cerimonie iniziatiche si può avere dagli affreschi che adornano la Villa dei Misteri di Pompei. La baccante nuda e la visione attraverso lo specchio sono indimenticabili. Specchio, trottola e palla (i giocattoli di Dioniso Zagreo bambino) sono elementi orfici per eccellenza e il loro simbolismo permea tutta la poetica orfica: la vita come gioco e illusione.
Per quanto riguarda l'orfismo posso dire che siamo di fronte a una delle più affascinanti correnti di pensiero, filosofie e stili di vita; forse la più antica forma di religiosità personale, contrapposta a forme ufficiali, “di stato”, e quindi sempre in odore di eresia.
L'influsso di correnti sciamaniche settentrionali (attraverso la Tracia) e orientali determinano una concezione centrata sul destino dell'anima dopo la morte, una promessa di salvezza sconosciuta allo spirito greco originario, ma che dal VIII secolo a.C. si diffonde in tutta la penisola e persino in Sicilia attirando numerosi adepti (fra cui personalità elevate come Pitagora) e lasciando preziose testimonianze fino al IV-V secolo d.C.
Da una tradizione esclusivamente orale, con l'orfismo si passa a una trasmissione scritta, e le celebri “laminette auree” contengono le prime testimonianze di un nucleo sapienziale in cui la visione mitica diventa pensiero e insegnamento. L'uomo, dalla doppia natura – titanica, quindi violenta, ma anche divina e benevola (la sua parte dionisiaca, perché i Titani avendo mangiato le carni divine ne conservano le tracce) – può potenziare e recuperare tale parte divina non violenta ed elevarsi spiritualmente.
Molto si è detto sul pessimismo orfico, ma a me sembra che si possa più propriamente parlare di una risposta all'angoscia e alla violenza, che, attraverso pratiche ascetiche e di purificazione (il vegetarianesimo e il vestirsi di bianco) conduceva gli adepti a una serena accettazione della vita e della morte, vista come passaggio che poteva preparare a una rinascita in condizioni migliori, proprio grazie ai meriti acquisiti attraverso una vita “virtuosa”.
Orfeo, per la sua capacità di “sublimazione” attraverso l'arte e la conoscenza delle “cose degli dei” acquisita durante il viaggio agli inferi, diventa così il fondamento mitico di cultura sapienziale e spiritualità.
Per approfondire l'argomento consiglio:
Giorgio Colli, La sapienza greca, vol. I, Adelphi
Karl Kerényi, Dioniso, Adelphi
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