La perdita di Euridice sprofonda Orfeo nella crisi più dolorosa, che lo motiva ad affrontare una pericolosa discesa nel regno dei morti per cercare di riconquistarla. Solo pochi eroi, oltre a Dioniso (che però è un dio), avevano compiuto un simile viaggio tornandone vivi: Teseo e Piritoo, che volevano rapire Persefone, ed Eracle, che in una delle sue fatiche doveva portare sulla terra Cerbero. Vedremo che anche Virgilio farà scendere Enea agli inferi per incontrare l'ombra del padre e avere da lui informazioni sul suo destino, mentre nel mondo cristiano sarà solo Dante a compiere il pericoloso viaggio da vivo e riuscire a “riveder le stelle” (e come abbiamo visto, nel libretto dell'opera di Monteverdi non mancano citazioni esplicite alla "Commedia" di Dante). In realtà anche Faust sprofonda nel regno delle madri, che è sicuramente una parte degli inferi, per riportare su Elena, e anche quello è un viaggio dove il pericolo è massimo.
Sono tutte discese esemplari, che andrebbero trattate separatamente, ma qui limitiamoci a vedere lo schema archetipico presente e attivo in ciascuna di esse: affrontare la depressione (il lato nascosto e spesso rimosso dell'io eroico), il luogo dove la libido è sprofondata insieme al proprio amore e ai propri interessi, alla ricerca del senso perduto. È il viaggio che lo sciamano deve fare dentro sé stesso, smembrandosi pezzo per pezzo e poi ricostruirsi, se vuole diventare guida per gli altri e ricondurre alla salute le anime dei malati e dei disperati.
Orfeo ha perso Euridice. La breve stagione della realizzazione – attraverso la magia dell'amore – e della pienezza è finita, e il vuoto e la disperazione sono enormi. Euridice ha svolto il suo compito di far intravedere cos'è la felicità di “stare insieme” alla propria anima e ora, cosa già implicita nel suo nome, diventa freccia che apre la ferita che esige un altro trattamento. Orfeo, per fortuna, pur nella disperazione più acuta ha uno strumento che ha imparato a usare: quella stessa lira con cui intonava i canti d'amore e che ora userà per cantare il suo dolore e che sarà la sua guida, come Dante si affiderà a Virgilio per attraversare i gironi infernali e raggiungere infine Beatrice, la vera guida verso la beatitudine della pienezza dell'amor che “muove il sole e l'altre stelle”. Nel mondo dei morti si ripete lo stesso incanto che la lira di Orfeo esercitava in quello dei vivi: tutto si mette in ascolto e si ferma. Caronte lascia la barca per seguirlo e ascoltarlo, Cerbero smette di abbaiare, la ruota di Issione si ferma sospendendo il supplizio, il fegato di Tizio non viene dilacerato, ecc... La coppia regale ascolta profondamente commossa, e Plutone, pregato da Persefone, accorda alla fine l'eccezionale permesso, ricordando però l'unica legge che neanche lui può sospendere: quella che non consente a nessun mortale di voltarsi lungo la strada del ritorno dalla morte alla vita, pena l'annullamento della grazia, affidando ad Ermes, il divino messaggero, la sorveglianza.
Solo a Dioniso era riuscito di ricondurre tra i vivi Semele, la madre incenerita da Zeus per aver voluto vedere il suo volto immortale, ma questa è l'eccezione che conferma la regola; così non può essere per Orfeo, che però da questa avventura entra in stretto contatto con il dio e la sua natura dionisiaca viene rivelata a pieno.
Perché Orfeo si volta?
Virgilio (Georgiche, IV) dice:
”...quando un'improvvisa follia colse l'incauto amante,
perdonabile invero, se i Mani sapessero perdonare: si fermò,
e proprio sulla soglia della luce, ahi immemore, vinto nell'animo
si volse a guardare la sua diletta Euridice”.
E Ovidio (Metamorfosi, X):
“...Non erano lontani dalla superficie terrestre,
e qui Orfeo, per amore, temendo che non gli venisse a mancare
ed avido di vederla, volse indietro gli occhi...”.
Dunque o per follia o per paura e impazienza, ma sempre di un errore terribile si tratta. Queste sono le prime impressioni, condivise da quasi tutti. Ma (c'è sempre un ma...) se non fosse così? Se la storia di Orfeo, in quanto mito, è esemplare, – e vedremo quali conseguenze importanti ci saranno per lo sviluppo spirituale –essa non può reggersi su un errore così grossolano, oltretutto dopo tanta fatica e tanto impegno, e allora proviamo a darle un altro significato. E ancora una volta ricorriamo a Rilke.
Nella lunga poesia “Orfeo. Euridice. Ermes” ci sono due punti molto significativi e di un'acutezza psicologica straordinaria: l'atteggiamento di Orfeo e la situazione di Euridice mentre sono in cammino. Orfeo è estremamente concentrato, ma in due direzioni opposte perché i suoi sensi sono scissi: gli occhi corrono in avanti come per affrettare l'uscita che cercano di individuare, come un cane in caccia, mentre l'udito è tutto teso all'indietro per captare il minimo segnale dei passi dell'amata che lo segue. Euridice è morta da poco, ma già si è sciolta dall'attaccamento alla terra e anche dai suoi affetti, persino dalla grande passione per Orfeo, e procede immemore, chiusa in sé stessa come in una nuova verginità, un bozzolo protettivo che forse prepara una rinascita, ma non ora, non subito... E quando Ermes le dice con dolore che lui si è voltato, lei sussurra “chi?”.
“... Ed i suoi sensi erano in due divisi:A me piace pensare che Orfeo si volti con grande dolore perché ha intuito, con l'estrema raffinatezza che l'udito ha acquistato attraverso l'allenamento della musica, la non disponibilità, anzi la totale estraneità di Euridice al suo progetto di riportarla sulla terra, perché lei è ormai assorbita in un'altra situazione; e con il voltarsi la rende libera: libera di rimanere tra i morti a preparare nel suo bozzolo una nuova rinascita, ma in tempi diversi, quando un nuovo ciclo di vita si riaprirà naturalmente (ricordiamo che la credenza nella metempsicosi, trasmigrazione delle anime e reincarnazione, costituisce uno dei punti centrali dell'orfismo). Riportarla ora in vita sarebbe una violenza e un atto di egoismo perché serve a lui, al proprio amore, e non a lei, che si è già staccata e che si sta preparando ad altro.
mentre l'occhio in avanti correva come un cane,
tornava ed ogni volta nuovamente lontano
alla prossima svolta era ad attenderlo –
l'udito gli restava – come un odore – indietro.
[...]
...Ma ella andava alla mano di quel dio,
e il passo le inceppavano le lunghe bende funebri,
incerta, mite e senza impazienza;
chiusa in sé come grembo che prepari una nascita,
senza un pensiero all'uomo innanzi a lei,
né alla via che alla vita risaliva.
Chiusa era in sé. E il suo essere morta
la riempiva come una pienezza.
Come d'oscurità e dolcezza un frutto,
era colma della sua grande morte,
così nuova che tutto le era incomprensibile.
[...]
...E quando il dio bruscamente
fermatala, con voce di dolore
esclamò: Si è voltato –
lei non capì e in un soffio chiese: Chi?”
"L'onda che muore sulla spiaggia torna ad essere mare, e chissà dove, chissà quando, tornerà ad essere onda".
Voltarsi diventa così l'ultimo, autentico gesto d'amore di Orfeo per Euridice.
2 commenti:
Molto suggestiva la tua interpretazione. E' una questione di tempo, dunque ...come in musica. Il tempo non è più quello.
Grazie anche per il testo di Rilke. Quel "chi" ha grande potenza.
Certamente il tema del tempo ha una gradissima importanza perchè "la nostra vita scorre trasmutando", tanto per citare ancora Rilke (se non si è capito ancora, confermo che è il mio poeta preferito in assoluto!) e in questo Orfeo che scandisce il tempo con la musica è ancora il maestro, anche nel passaggio della morte.
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