11 novembre 2010

Turandot (10) - La vendetta

Scritto da Marisa

In un'aria memorabile ("In questa reggia..."), Turandot spiega il perché di tanta crudeltà. Il suo rancore verso gli uomini e il conseguente progetto di vendetta hanno radici molto antiche, da più di mille anni (ma questi, si sa, sono i tempi delle fiabe...), e non partono nemmeno da una violenza subita personalmente ma da un atto delittuoso perpetrato su un'antica antenata, la principessa Lou-Ling, da parte di un uomo, il re dei Tartari.
L'identificazione di Turandot con l'antica principessa è totale e l'odio verso lo stupratore viene agito come bisogno di vendetta, includendo tutti gli uomini con una logica di generalizzazione (un uomo è stato violento = tutti gli uomini sono violenti) tipica dei complessi molto profondi.

Se ci fermiamo solo a una lettura psicologica personale (ponendo l'oltraggio ricevuto da Lou-Ling come uno stupro subito da Turandot in un passato lontano, nell'infanzia, e collocato dallo spostamento ancora più indietro e su un'antenata in cui lei si riconosce), il comportamento di Turandot, per quanto ingiusto e odioso, è già spiegato: si tratta di un antico trauma (meglio se sessuale, secondo i canoni freudiani), una precoce e profonda ferita narcisistica, da cui parte un progetto terribile di vendetta, progetto che diventa lo scopo di tutta una vita, tanta è la frustrazione subita e la rabbia accumulata. Sappiamo che le umiliazioni e i traumi, quanto più sono antichi e profondi, tanto più attivano comportamenti patologici, e che la rabbia narcisistica è veramente distruttiva e duratura.

Ma questa è una fiaba, e pertanto è legittimo non fermarsi al solo piano personale ma cercare di andare oltre per ampliare il livello di comprensione, cosa che il materiale archetipico favolistico permette. E qui torniamo alla luna. In quanto simbolo del mondo femminile, la luna è il centro stesso della coscienza matriarcale, e Turandot – identificata con la luna – è essa stessa l'immagine sovrapersonale, quasi una dea lunare, del principio originario matriarcale che ha informato e dominato tutta l'umanità prima del sopravvento e dell'affermarsi in modo sempre più sopraffacente e violento del patriarcato, con lo spostamento della coscienza e dei suoi valori verso il maschile. Ecco allora che i "mille e mille anni" hanno già più senso, e che l'offesa all'antenata diventa una ferita ancora attuale, perché la coscienza matriarcale, violentata e spodestata migliaia di anni fa, reca tuttora una ferita sanguinante e la riconciliazione non c'è ancora stata...
Seguendo questa chiave di lettura, anche Liù acquista un nuovo significato: essa è quella parte della coscienza femminile che ha aderito al nuovo sviluppo senza sentirsi spodestata ed estraniata, ma che può – anche all'interno del patriarcato – perseguire il proprio obiettivo e cercare in esso la propria realizzazione. Certo è che spesso questa aderenza la pone al servizio dell'uomo e dei suoi bisogni: rimane una schiava. È come se, grosso modo, ci fossero state due linee di sviluppo nel femminile: una parte verginale che si oppone, cova rancore e cerca di vendicarsi del maschile in vario modo (invidia del pene, competitività, svalutazione...), e una parte che ha trovato un adattamento e un senso, soprattutto grazie al sentimento. Turandot e Liù possono quindi rappresentare due linee divergenti di sviluppo del femminile, opposte tra loro, che entreranno in conflitto in modo drammatico per far finalmente emergere una "nuova donna": la nuova Turandot.

Questa è una semplificazione adatta a questa storia, ma in realtà le cose sono più complesse e le due linee tracciate si arricchiscono di significato se teniamo presente la differenziazione della coscienza e le sue varie componenti. Già nel mondo antico greco (per rimanere nel filone della nostra cultura di appartenenza), il principio matriarcale unico rappresentato dall'archetipo della "grande madre" e dalla luna, sia negli aspetti positivi che in quelli negativi (fecondità e sterilità, vita e morte), si è progressivamente differenziato incarnandosi in varie dee, ognuna delle quali rappresenta un aspetto fondamentale (archetipico) del femminile, e ognuna con due facce opposte: positiva e negativa, chiara e scura. Troviamo così Hera a rappresentare l'aspetto "moglie"(innamorata e fedele, ma gelosa e possessiva); Demetra, la madre amorevole, ma che non lascia andare la figlia; Persefone, la figlia ingenua legata alla madre, ma dipendente; Afrodite, la grande dea della bellezza e del desiderio amoroso ("Croce e delizia"...); Artemide, la dea vergine che spinge le giovani del suo seguito sui monti, nella natura selvaggia e lontano dagli uomini (autonomia, ma ostilità verso l'uomo); Atena, dea dell'intelligenza, della saggezza e delle arti, ma anche guerriera armata di scudo e asta (protettrice di eroi, ma spietata verso chi – come Aracne – osi sfidarla); Estia, dea del focolare e sacerdotessa custode del tempio, estremamente introversa e separata anche dagli altri dei dell'Olimpo. Queste, molto in sintesi, sono le dee principali e quindi gli aspetti più importanti della psiche femminile. Va da sé che esse sono presenti in varia misura in tutte le donne, ma la prevalenza dell'una o dell'altra gioca in modo molto diverso (in proposito vedi il libro "Le dee dentro la donna" di Jean S. Bolen, ed. Astrolabio).

Jung ha ulteriormente arricchito il quadro riconoscendo nella donna un aspetto maschile che ha chiamato Animus (l'uomo dentro la donna), una controparte psichica che agisce purtroppo ancora troppo spesso attraverso l'inconscio e perciò in modo occulto e meno controllabile, e che dovrebbe completare la personalità della donna, non riducendola solo al ruolo che la tradizione patriarcale e l'aspettativa socialmente indirizzata dalla coscienza maschile si aspetta da lei, ma rendendola consapevole e responsabile delle proprie scelte. Quando però l'Animus nella donna è inflazionato o sovraesposto si possono verificare vari disturbi fino a una vera "possessione", che la rende acritica e la estranea dal nucleo più profondo della femminilità.
In Turandot possiamo riconoscere dei chiari aspetti di Atena, la dea vergine che presiede allo sviluppo del pensiero e dell'ingegno: ma mentre la dea è amica degli eroi (Ulisse, Perseo) e li aiuta nelle loro imprese, la principessa (in reazione al trauma subito) è posseduta da un Animus prevaricatorio e competitivo, che congela l'eros e indirizza il suo odio vendicativo verso gli uomini. Anche Artemide, la dea direttamente identificata con la luna, è costellata nel personaggio di Turandot e la strenua difesa della verginità riecheggia il crudele comportamento nei confronti di Atteone, che aveva osato contemplare la casta dea della natura selvaggia mentre si bagnava nuda in un fiume con le sue ninfe. E qui il discorso si allargherebbe alla nemesi che colpisce l'uomo quando con il suo incauto comportamento "profana" la natura incontaminata, argomento molto importante e di un'attualità sconvolgente, che in questa sede posso solo accennare. Chissà, forse questi spunti possono germogliare altrove...

Queste dinamiche valgono sia a livello personale (quante donne si ritrovano ad agire una parte di rabbia e di competitività distruttiva verso l'uomo, rendendo molto difficile, se non impossibile, la relazione?) sia a livello più ampio, e le ritroviamo socialmente in atto nel bisogno (a volte esasperato e di violenta ribellione) di superare i vecchi modelli patriarcali imposti al femminile, che volevano la donna sottomessa ai bisogni della famiglia, concedendo a essa approvazione solo come madre e moglie devota, o come alternativa in fondo analoga: infermiera, crocerossina e simili... (Liù, insomma).

Clicca qui per il testo di "In questa reggia".

TURANDOT
In questa reggia, or son mill'anni e mille,
un grido disperato risonò.
E quel grido, traverso stirpe e stirpe
qui nell'anima mia si rifugiò!
Principessa Lou-Ling, ava dolce e serena
che regnavi nel tuo cupo silenzio
in gioia pura, e sfidasti inflessibile e sicura
l'aspro dominio, oggi rivivi in me!

LA FOLLA
Fu quando il Re dei Tartari
le sette sue bandiere dispiegò.

TURANDOT
Pure nel tempo che ciascun ricorda,
fu sgomento e terrore e rombo d'armi.
Il regno vinto! E Lou-Ling, la mia ava,
trascinata da un uomo come te,
come te straniero, là nella notte atroce
dove si spense la sua fresca voce!

LA FOLLA
Da secoli ella dorme
nella sua tomba enorme.

TURANDOT
O Principi, che a lunghe carovane
d'ogni parte del mondo qui venite
a gettar la vostra sorte,
io vendico su voi, su voi quella purezza,
quel grido e quella morte!
Mai nessun m'avrà!
L'orror di che l'uccise vivo nel cuor mi sta!
No, no! Mai nessun m'avrà!
Ah, rinasce in me l'orgoglio di tanta purità!
Straniero! Non tentar la fortuna!
Gli enigmi sono tre, la morte è una!

CALAF
No, no! Gli enigmi sono tre,
una è la vita!

LA FOLLA
Al Principe straniero offri la prova ardita,
o Turandot! Turandot!




Maria Callas


Joan Sutherland


Birgit Nilsson


Eva Marton


Ghena Dimitrova

Angela Gheorghiu

2 commenti:

samule ha detto...

Il vero centro nevraligico, asse portante di tutta Turandot, tanto dal punto di vista musicale che teatrale: quando vedremo una messa in scena che lo riveli?


Marisa ha detto...

Sicuramente hai colto nel segno: i sentimenti di frusrazione e di sopraffazione più sono lontani e repressi più danno origine a rabbia e bisogno di rivalsa.
Speriamo che l'imminente rappresentazione di Riccardo Chailly per L'EXPO faccia finalmente onore a Turandot e non la rappresenti solo come "crudele" e terribile sanguinaria, ma riesca a tirare fuori tutto il dolore e la nostalgia d'amore che sono congelati in lei.